Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato; Nei confronti della Regione Umbria in persona del suo presidente della giunta, avverso l'art. 46 e, per quanto connesso, l'art. 2 della legge regionale 18 febbraio 2004 n. 1 intitolata «Norme per l'attivita' edilizia», pubblicata nel Boll. Uff. n. 8 del 25 febbraio 2004. La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 2 aprile 2004 (si depositera' estratto del relativo verbale). La Regione Umbria ha proposto una prima controversia sulla legittimita' costituzionale (reg. ric. n. 87 del 2003) di disposizioni contenute nell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, ed una seconda similare controversia (reg. ric. n. 11 del 2004) nei riguardi delle disposizioni dell'art. 32 citato, come risultato dalla conversione nella legge 24 novembre 2003 n. 326. Con la legge ora in esame la regione ha disposto nell'art. 2 che «a seguito dell'entrata in vigore della presente legge cessa nella Regione Umbria la diretta operativita' delle norme statali di dettaglio in materia edilizia, ivi comprese quelle che non trovano una corrispondente disciplina nella normativa regionale, salvo ...», e nell'art. 46 commi 4 e 5 che, fino all'entrata in vigore di una legge regionale solo preannunciata nel comma 2 dello stesso art. 46, «i comuni sospendono ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi in conseguenza del condono edilizio ....», salva la facolta' degli interessati di presentare le «domande di sanatoria» ai sensi dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, come convertito in legge, «a tutela e garanzia delle loro posizioni giuridiche». Queste disposizioni, considerate ciascuna isolatamente e nel loro insieme congiuntamente, appaiono oscure e produttive di incertezze interpretative: nell'art. 2, la nozione di «norme statali di dettaglio» e' indeterminata e la nozione di «in materia edilizia» rimane generica; e nell'art. 46 commi 4 e 5 risulta incomprensibile di quali «posizioni giuridiche» si assicurerebbe «tutela e garanzia» nel contesto di una «sospensione» in attesa di norme regionali non ancora prodotte e percio' dall'ignoto contenuto (che potrebbe essere, in ipotesi, meno restrittivo delle norme recate dall'art. 32 citato), e quali doveri d'ufficio gravino sui funzionari dei comuni nella pendenza della ordinata «sospensione». L'art. 46 ai commi 2, 4 e 5 riconosce che non e' ancora avvenuto un completo adeguamento ai principi contenuti nel d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ed implicitamente riconosce anche spettare al legislatore statale la competenza a disporre un condono edilizio, e pero' frappone ostacoli all'applicazione delle disposizioni statali in argomento. Sicche', l'effettivita' del comma 5 citato rimarra' verosimilmente ridotta: gli interessati si asterranno dallo autodenunciare gli abusi non ancora «scoperti». Premesso che le materie «ordinamento penale» e «tutela dell'ambiente e dei beni culturali» sono di esclusiva competenza statale, la sottrazione dal territorio nazionale di una o piu' regioni introduce disuguaglianze (art. 3 Cost.) non legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle autonomie regionali. Queste non possono condurre a discipline diversificate nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Cosi' in particolare, non pare accettabile che fatti identici (ad esempio, edificazioni in assenza di permesso di costruire) siano repressi penalmente ed in via amministrativa in una regione, e non repressi perche' sanati «per condono» in altre regioni. D'altro canto, in un provvedimento di condono edilizio e' essenziale una disciplina unitaria sulle tipologie di illecito sanabili, sulla data prima della quale gli illeciti sono commessi, etc. In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che irriguardosa dell'art. 117, secondo comma lettera L ed S Cost. e lesiva dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, terzo comma Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127, secondo comma e 134 Cost. Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003 n. 350), impedire di fatto l'applicazione nel territorio di una regione delle disposizioni statali in tema di condono edilizio concreta una ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi una lesione di quella «autonomia finanziaria» che, anche, ed anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una comprensione della competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari», una sottrazione di risorse destinate alla copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di stabilita' concordato a livello di Unione europea. L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a finanza derivata» le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato. La regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra di finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare altrimenti l'invarianza del «livello massimo del saldo netto da finanziare» (art. 1, comma 1, della legge finanziaria citata), ad esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato. D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, terzo comma Cost. che riconosce allo Stato la competenza alla «determinazione dei principi» (si noti «determinazione», e non ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le evidenti e plurime connessioni con la materia «ordinamento civile» (art. 117 comma secondo lettera L Cost.) - produrre la disciplina normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non ordinari, quali quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia. Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente - che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre norme demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la sospensione dell'applicazione o addirittura la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare l'unita' della Repubblica (art. 5 Cost.) e comunque concretano una sorta di anomala «autodichia». L'ordinamento costituzionale (ora art. 127, secondo comma Cost.) riconosce ad ogni regione la facolta' di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio governativo, e facendo leva sulla successione delle leggi nel tempo - essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza del ricorso della regione). Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per il sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello Stato e delle autonomie. Si confida in un insegnamento di codesta Corte, il quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare appieno l'autorita' del Parlamento nazionale. Anche la lettera a) del comma 3 del citato art. 46 appare non compatibile con la Costituzione ed in particolare con l'art. 117, secondo comma lettera S Cost.: spetta solo al Parlamento nazionale stabilire in quali casi la «tutela» debba essere «assoluta».